mercoledì 30 giugno 2010

It's a bitter sweet symphony this life...

ecco come fa una mamma qualunque col passeggino all'ora di punta in un qualsiasi centro commerciale...



...ma è anche come mi sento io, spesso, passeggino o no.
tanto che questa canzone ce l'ho in macchina e posso sentirla venti volte di seguito.


si può fare a meno del consenso delle persone, e proseguire sul proprio marciapiede senza farsi distrarre, a costo di sembrare rudi.


a parte che lui, se si facesse uno shampoo, sarebbe pure figo.


e ora scusate ma torno ai video della Pimpa

domenica 27 giugno 2010

Quattro mesi - e anche tu mi ami

A quattro mesi impari ad amarmi.
mentre io sono sopraffatta dall'amore per te.
cerchi il mio viso, se piangi disperato e mi vedi sorridi tra i lacrimoni. ti faccio cucù-settete e le facce buffe e ridi, le tue prime vere risate. ridi quando sbadiglio. sorridi a chi ti parla con trasporto e con occhi sinceri. se entri in una stanza, tutto gravita intorno a te.
sai stare in mezzo alla folla con presenza di spirito e fermezza, ma quando restiamo da soli esplodi in gridolini estasiati e versetti, e sei veramente rilassato. hai bisogno di ME, non ti serve nient'altro e accorgermene mi fa ogni volta commuovere.

a quattro mesi sei bellissimo e biondo-rossiccio. hai le guance rosa, la testa come un cece perfetto. hai fatto i tuoi primi bagni in piscina, in braccio a noi o da solo nella ciambella, e muovi le gambette come un ranocchio ridendo felice e lanciando gridolini ai pupazzetti di gomma che sfrecciano sulla tavoletta davanti ai tuoi occhi curiosi. hai fatto fermare gli allenamenti della squadra di nuoto, con questo spettacolino.
sei consapevole e sicuro, sempre di più. afferri gli oggetti e li porti alla bocca. ti fai i succhiotti sul polso da solo. nel lettino giri e giri su te stesso, esplorando ogni angolo del tuo regno e osservando intensamente le apine. quando dormi stringi forte a te il cuscino, tanto che sto pensando di confezionarti un pupazzetto.
allattarti è sempre più un piacere, perchè mentre mangi fai scorrere la manina sulla mia pelle, perchè stiamo vicini cuore a cuore ed è meraviglioso guardarti mentre ti nutri e gioisci di questo contatto. ogni tanto alzi gli occhi e mi guardi così intensamente da farmi tremare le gambe, poi ti rituffi nel seno. quando sei finalmente sazio ti stacchi con uno schiocco e assapori quel momento impagabile in cui resti sdraiato accanto a me e il pancino inizia a lavorare per farti digerire.

io a quattro mesi della mia nuova vita mi ritrovo a sorridere come l' essere beatamente appagato che da tempo non ero più. tutto ciò mi basta, basta alla mia sete di realizzazione come essere umano e come donna, e mi spinge ogni giorno un po' oltre i miei limiti. non c'è rinuncia, limitazione o senso di inadeguatezza che tengano, sono una madre, sono tua madre ed è un privilegio, un onore, un incarico di massimo, e dico massimo, livello.

non pensavo, giuro non pensavo, che sarebbe stato così. così meraviglioso.
auguri pupone mio!

martedì 22 giugno 2010

Acquisti rivelatori

Se torni a casa eccitata come una ragazzina per aver acquistato un ombrellone da giardino (una domanda: ma ce l'hai il giardino? no) (seconda domanda: se hai il pupone attaccato alle costole tutto il santo giorno come hai fatto a trasportare tutta la mercanzia? semplice: mettendo a repentaglio le nostre vite e la stabilità futura del passeggino) e i copricuscini coordinati...e stai lì le ore a ripulire il terrazzo accessoriato di fresco e a contare i petali dei gerani, sperando che qualcuno bussi al tuo uscio per poterlo condurre fuori e mostrare con finta noncuranza il capolavoro...

le cose sono tre:
1)o sei stata travolta dal Morbo della Massaia Operosa,
2)o sei finalmente diventata una Persona Capace di Godere delle Piccole Cose,
3)o hai un gran bisogno di fare più sesso.


Ps: e da ieri fa un tempo che sembra tornato l'autunno

domenica 20 giugno 2010

Solo la madre cambia. Di metamorfosi, papà vanitosi, amore.

anche questo fine settimana ho avuto la conferma di quel che andavo pensando da un po':
i genitori sono in due ma quella che cambia irreversibilmente è SOLO E SOLTANTO la mamma.
cioè io, guarda un po'.

la mamma cambia irreversibilmente nel corpo. prima col pancione, in gravidanza, poi con tutto il resto: la pelle, i muscoli, le ossa, tutto cambia dopo il parto, in parte per l'adattamento alla maternità, in parte per le mancate cure...leggi gridare alleluja quando riesci a passarti mezza mano di crema idratante sulle gambe...fare quei due esercizi per i glutei un giorno sì e dieci no.
(tutto questo mi sovviene mentre il padre di mio figlio si ammazza di addominali, va due volte al giorno in piscina, si abbronza e la sera mentre io boccheggio a letto prima di addormentarmi viene a mostrarmi orgoglioso i suoi progressi);

la testa non è quella di prima: pensi solo al bimbo. non più a te stessa, non più alle amiche e nemmeno al tuo compagno. se proprio devi, fai lo sforzo sovrumano di pensare a come e dove procacciare il cibo per la famiglia. esci per comprarti qualcosa, e torni con l'Antennina Ballerina per il pupo. di notte ti svegli nel silenzio della casa e vai a vedere se il bimbo respira.
(tutto questo mi sovviene mentre il padre di mio figlio ascolta musica per ore e ore, vaneggia di corsi di fotografia e di capoeira e propone, candido, di andare alla festa di compleanno in discoteca di un suo collega di lavoro);

voi direte, tipo coro greco: ma quando le fa tutte queste cose??
le fa durante la pausa pranzo a lavoro, mentre io sto cercando di addormentare il pupone o lo sto intrattenendo con pupazzi e libri di stoffa. lo fa la sera quando torna, mentre io mi destreggio col pupone in bagno per lavarlo, mentre lo cospargo di talco baciandogli i piedini e constatando ogni suo più piccolo progresso. lo fa mentre allatto. lo fa quando esco per andare in farmacia (col pupone) in cerca di un consiglio su che tisane provare per favorire l'allattamento. lo fa quando, di notte, dopo che il figlio si è in qualche modo addormentato, io sconvolta dalla stanchezza svengo sul letto e lui, fresco e splendido, accende lo stereo e si ascolta i suoi dischi preferiti.
a volte, quando torna da lavoro, tempo un'ora ed è uscito per andare a nuotare.

coro greco: come puoi permetterglielo??
semplice: io so che per lui è diverso che per me. so che la sua testa è rimasta la stessa, coi suoi desideri, le sue aspettative dalla vita, le sue innocenti evasioni dal tran tran. e se gli chiedo di più, lui a volte non capisce, non vede la necessità.
so che a me, occuparmi di mio, di nostro figlio, non pesa, anzi.
cerco di metterlo di fronte alle sue responsabilità quando io non ce la faccio, quando ho bisogno di un momento per riprendermi. se glielo chiedo, di darmi tempo per prendere fiato, lui c'è. ed è davvero un padre amorevole e presente. che gioca, ninna, bacia, si preoccupa, vigila.

ma non è una madre.

non sa cosa significhi spingere, con tutta la propria forza, per separarti da un pezzo di te stessa ed abbracciarlo per la prima volta. guardare tuo figlio quando ancora è parte di te, col cordone che vi unisce anche se non siete già più quella monade perfetta che per nove mesi siete stati. allattarlo e pensare che, ancora una volta, parte di te è parte di lui. piangere di emozione guardandolo dormire, e constatando che mesi felici sta vivendo grazie alle tue cure e al tuo amore immenso.

può darsi che Madre Natura abbia previsto tutto, predisponendoci così diversamente, uomini e donne, alla genitorialità.
può darsi che io esageri.
ma, ancora una volta, ecco la conferma: essere madre è un lavoro. un lavoro in piena regola. solo che vieni pagata in bacini bavosi e affetto cucciolo di un figlio. in piccole braccia che ti cercano nella confusione di una stanza affollata. in sillabe sgangherate e sorrisi sdentatissimi. in riconoscenza, rispetto, somiglianza, AMORE.
non in soldi.

vuoi mettere.

mercoledì 16 giugno 2010

Il mio allattamento. Ho scalato la montagna

Ho talmente tante cose da dire che non so da dove iniziare.

ma mi sono resa conto che non ho ancora scritto nulla a proposito dell'allattamento. eppure è uno degli argomenti che più mi sta a cuore, tra tutti quelli inerenti la maternità.
sin da quando ero incinta ho sempre saputo che avrei voluto allattare. bella forza, direte voi.
quando il pupone è nato ci abbiamo provato subito, e la sensazione della sua boccuccia appena nata che si posa sul capezzolo e inizia timidamente a tirare mentre il mondo intorno si ferma attonito, no, quella non la dimenticherò mai.
(come non dimenticherò il gesto dell'ostetrica che mi strizza tra due dita il capezzolo e lo ficca letteralmente in bocca al pupone per velocizzare la pratica...).
finchè eravamo in ospedale le cose sembravano facili e leggere. pure troppo. con le mie compagne di stanza ci guardavamo l'un l'altra un po' spaesate. ciascuna col suo neonato più o meno attaccato al seno, ci confrontavamo e rassicuravamo a vicenda (puericultrici inesistenti).
mi dicevo "non può essere questo l'allattamento, una cosa così, quasi impercettibile. ci dev'essere qualcos'altro".

il qualcos'altro si è palesato il quarto giorno dopo il parto. con una montata lattea a dir poco esagerata, che ha fatto strabuzzare gli occhi al mio compagno (i cui istinti di accoppiamento sono stati immediatamente sedati da un ruggito spaventoso) e che a me ha fatto capire che i giochi stavano avendo inizio.
non mi rigiravo nel letto se non a pena di sofferenze immani. questi due dirigibili rossi e pesanti e duri come marmo mi impedivano di fare qualunque movimento che coinvolgesse il tronco. il bimbo si attaccava sempre, ma la sua forza non era sufficiente a svuotare neanche in minima parte i seni.
e poi c'erano le ragadi. il sangue dai capezzoli, e nel rigurgitino del bambino, roba da svenire per l'impressione.

facevo impacchi di acqua calda, massaggi e massaggini, ma intanto il dolore c'era sempre e la notte avevo preso a sudare tremendamente. a sudare e a perdere occasionalmente del latte infradiciando il letto.
ingorgo mammario.
e poi mastite.
una notte mi sveglio in preda a brividi indicibili, non riuscivo a uscire dalle coperte, battevo i denti disperata. febbre a 39,5. compagno incredulo e spaesato, "che si fa?.
non so come il medico generico che è in me ha capito che cosa dovevo fare, e pur senza che nessuno me l'avesse mai detto ho ingollato una tachipirina, acchiappato il tiralatte (altro colpo di genio: chi mai mi ha suggerito di prenderne uno? nessuno!)e piangendo per il dolore ho iniziato a tirarmi ettolitri di latte, che poi il papà, sconvolto dalla visione di questa pazza sudata che si spremeva i seni senza pietà con questo congegno terrificante, dava al nano, ben felice di satollarsi senza grande sforzo. almeno si addormentava, consentendomi di riprendere il tiraggio.
e così sono andate avanti per un po' le mie giornate (e le notti): allatta il piccolo, tirati il latte, massaggiati e ricomincia. ogni volta, tantissimo latte.
la febbre andava e veniva, salendomi all'improvviso senza nessuna avvisaglia, ma ormai avevo capito cosa fare. la ginecologa l'ho chiamata e mi ha prescritto un antinfiammatorio, ma il peggio era passato.
e abbiamo avviato, il mio collaborativo pupone ed io, un allattamento felice e regolare, che lo fa crescere tanto e bene. che meraviglia poter rispondere, a chi mi chiede che latte gli do, "il mio".

perchè questo resoconto?
perchè ieri pensavo che sono stata brava. diamine, sì.
io, che non sono mai indulgente con me stessa, mi sono detta "brava".
brava perchè ho continuato, nonostante il dolore e l'angoscia delle prime settimane.
brava perchè non mi è mai passato per la mente di rinunciare. e lo dico nonostante capisca pienamente quelle donne che, sopraffatte dalla difficoltà e dal dolore magari sommati al fatto di avere "poco latte", si convertono al latte artificiale (l'importante è essere serene. allattare non deve essere occasione di frustrazione e sede di rancore).
brava perchè per la prima volta mi sono data completamente a mio figlio. l'ho fatto solo per lui. il mio unico pensiero era farlo stare bene, e se per farlo dovevo annullarmi per qualche settimana, che mi annullassi pure. suona forzato e drastico, ma io l'ho vissuta come una prova d'amore. non mi considero una talebana della tetta, ma per settimane ho vissuto in funzione dell'allattamento, in preda a una specie di trance. dovevo svuotarmi per poi riempirmi di nuovo e allenare questi benedetti dotti galattofori che si ostruivano sempre. ce l'ho fatta. è stato un lavoro vero e proprio, e ancora lo è.
ho imparato a far attaccare il bambino a seconda di dove c'era bisogno di "liberare", a riconoscere i primissimi sintomi di ingorgo, a tirarmi il latte senza soffrire (anzi, alla fine era quasi divertente). e presto lui ha acquisito forza sufficiente a far accantonare il tiralatte (l'ho rivisto l'altro giorno in fondo ad un armadio e mi è sembrato che fosse secoli fa che ce l'avevo sul comodino).
brava perchè ho fatto tutto da sola. con le zie che da oltretirreno elargivano consigli sempre diversi, che non ho seguito. ho fatto come il corpo e l'istinto mi suggerivano, e ho fatto bene. ero un tutt'uno di sensazioni primitive e competenza scientifica, che mi hanno guidato verso la soluzione del problema.

a distanza di tre mesi e mezzo, mio figlio continua a mangiare ogni tre ore e mezza. è faticoso, soprattutto con il caldo, ma vivo questi momenti pensando che in futuro mi mancheranno. mi mancherà questa intimità, questa comunione di intenti con questo bambino tondo e morbido che ha imparato a farsi capire con uno sguardo. un'occhiata e via, sono tetta all'aria, e lui mi acchiappa coi pugnetti e lasciandosi guidare dal naso trova lui il capezzolo.

ho scritto un trattato, non so se un giorno sarà utile a qualcuna che per caso capiterà da queste parti facendo ricerche sull'allattamento (io ho fatto così, tra l'altro).
fondamentalmente, l'ho fatto per gratificarmi.
in un periodo in cui mi sento invisibile all'occhio umano, celata dallo splendore e dalla tenerezza di un bimbo che ho pur sempre partorito io, mi dò una fraterna e complice pacca sulla spalla da sola.
avevo una montagna davanti a me, l'ho scalata sotto le intemperie e, tutta sola, ho guadagnato la vetta.

brava.

venerdì 11 giugno 2010

Accorgimenti per la ripresa fisica dopo il parto (sì, ma quella mentale?)

Da diverse settimane ho iniziato una guerra contro il rilassamento post parto. se è vero che la situazione è migliorata rispetto all'inizio, c'è però ancora del lavoro serio da fare.
guardandomi pur con una certa indulgenza allo specchio, ho esaminato a fondo la questione pancia, e facendo un po' di prove tecniche ho fatto una scoperta che ha del rivoluzionario.
in trent'anni non ho capito una mazza: tiravo in dentro la pancia superando tutti i record di apnea e facendo assumere al mio ventre una conformazione non credibile, a cucchiaio, con le costole di fuori.
invece bisogna contrarre gli addominali.
incredibile come si sembri più naturali.
è vero che c'è il rischio che alla lunga ti scoppi una vena, ma finchè ciò non accade ne beneficia anche la schiena. e, alla lunga, ti tornano davvero, gli addominali. me ne cammino tutto il dì con 'sta pancia contratta, respirando regolarmente.

ma non solo.

poichè non ho la forza nè mentale nè fisica per iscrivermi in palestra e soprattutto per andarci, oltre a questa sconvolgente pratica i miei alleati sono le passeggiate col pupone e gli addormentamenti dello stesso.

le passeggiate
premessa: il pediatra ha prescritto al pupone la vitamina D. leggendo il bugiardino ho trovato scritto che è tossica per il feto e per il neonato, tanto che la madre che allatta non dovrebbe assumerne.
ma come?
per non capirci niente di pediatria, capisco però che robe tossiche a mio figlio anche no. così, dopo aver studiato tutta la letteratura rinvenuta sul www al riguardo, ho deciso che, piuttosto che somministrare ormoni (chè non è una vitamina, ma un ormone) al nano per evitargli il rachitismo (chè a quello servirebbe), lo faccio stare all'aperto, unico modo per far produrre al corpo la suddetta sostanza.
così il figlio si distrae, la mamma sgambetta, la circolazione riprende (ai livelli più penosi,le gambe mi facevano male se ci premevo un dito sopra), i glutei da rettangolari che si eran fatti tornano, ne non tondi, almeno ovali, va'.
e poi: umore in salita, colorito meno malsano, occasionali incontri con adulti con cui chiacchierare, etc etc etc.

gli addormentamenti del pupone
anche qui, doverosa premessa: a tre mesi e mezzo il pupone pesa quasi 7 chili. è pur vero che ultimamente (da quando abbiamo bandito la carrozzina che si prestava ai dondolamenti pro-nanna) si addormenta da solo nel lettino, complici anche le lunghe passeggiate che lo stancano assai, ma capita talvolta che sia così stremato da non riuscire a prender sonno da solo. e allora me lo cullo davanti allo specchio del bagno (si ipnotizza da solo guardandosi negli occhi). risultato: braccia più toniche.

a questo punto dovrei avere l'umore a mille, l'autostima al galoppo.

poco fa il compagno di vita mi propone di andare in piscina col bimbo. al pensiero di mettermi il costume, subito, ORA, senza preparazione psicologica, mi è salito un nodo alla gola.
suppongo di dover affrontare la questione, prima o poi. forse più prima.

ce la posso fare...

mercoledì 9 giugno 2010

Mamma e papà litigano?

se c'è una cosa che temo del matrimonio, è l'idea dell'indissolubilità.
del contratto da siglare, del patto da rispettare, dello stare insieme ad un certo punto perchè "si deve", o perchè separarsi è troppo squallido, complicato e costoso.
essendo stata avvocato, nella vita pre-oddiosonoincinta, pre-pancione, pre-nano, ho assistito al peggio di sè che le coppie danno lungo i corridoi dei tribunali quando si tratta di accordarsi su figli, assegni di mantenimento, mobilia da dividere. e mi sono detta "perchè sposarmi? col compagno facciamo i pacs, va'" (che poi in realtà si parlotta di...vedremo).
poi è arrivato il pupone (e non a caso dico pupone: ieri dal pediatra la bilancia si è incrinata sotto il peso dei rotoli di ciccia) e mi son detta opporcavacca. e mo'.
già perchè molto più che qualunque contratto di matrimonio civile o di sacramento religioso, ciò che unisce vita natural durante una coppia è un figlio. ci costringe a volerci bene , ancor prima che ad amarci. a stare vicini, a collaborare, ad essere civili, sinceri, rispettosi della vita dell'altro e di quella a tre.
siamo una famiglia, ora.

cosicchè quando l'altro pomeriggio ci siamo messi a litigare nel parcheggio del centro commerciale, io esasperata dalla stanchezza e dal suo tentennare per ogni sciocchezza e lui stanco come me e probabilmente delle mie lamentele, ad un tratto ho guardato nostro figlio che, a pancia in giù in braccio al papà, mi osservava e aveva assunto un'espressione che non so definire.
sembrava scontento, e preoccupato (se a tre mesi si può essere scontenti e preoccupati). non capiva cosa stesse succedendo, ma capiva che i suoi punti di riferimento umani stavano facendo casino. che qualcosa non andava. sembrava domandarsi perchè l'armonia si fosse rotta.

e ho capito.
che non potremo più litigare di fronte a lui, come se non ci fosse, che tanto non capisce.
che non dovremo mai rompere quell'armonia di cui lui ha bisogno per costruirsi una personalità equilibrata.
che siamo responsabili di lui e della sua felicità, più di quanto non lo sarà mai lui stesso.

e che sì, siamo genitori.
scioccante.

lunedì 7 giugno 2010

Cose sconvenienti

Dopo un fine settimama a misura di neonato, trascorso cioè tra centro commerciale (in cerca del lettino per il pupone), montaggio del lettino (e lacrime, calde lacrime), pizza trangugiata di sabato sera alla bell'e meglio dandosi il cambio col papà nello scorrazzamento del figlio, gitarella al lago con primo bagno di piedini santi nell'acqua fresca, è arrivato l'inevitabile:
il sogno erotico con protagonista Filippo Timi. con una me in versione sex and the city, cioè super glamour e, manco a dirlo, arrapatissima.
credo che tutte le attività di sopra elencate, se svolte da una appena trentenne madre un po' esaurita pur se coadiuvata dal papà, e se concentrate in 48 ore scarse, non possano che produrre un effetto di cotale dirompenza. come compensazione, via.
chiamatela fuga dalla realtà, fatto sta tanto precipitosa è stata, codesta fuga, e tanto brutale il ricatapultarsi al lunedì mattina romano di questo giugno caldissimo, che mi sono svegliata con la sensazione di avere ancora le valigie da disfare.

come tutti i sogni, belli o brutti che siano, anche questo evapora da solo per l'effetto di colazione e passeggiata.
ma, se una cosa è vera perdiana, è che una neomamma fa (pensa, dice, scrive, immagina) cose che non vi aspettereste.

mercoledì 2 giugno 2010

Di scremature, valigie, bagagli a mano...

L'Amica In Carriera non si fa sentire da un po'.
da quando le ho detto che ero incinta, e ancora più da quando è nato mio figlio, lei latita. non lo ha mai visto, ancora.
le poche volte che ci siamo sentite mi ha chiesto, più per dovere e con molto imbarazzo "e il bambino?", senza nominarlo, senza reale interesse. e con poco trasporto le ho risposto, perchè il trasporto mio figlio ed io lo riserviamo a chi ha voglia di essere coivolto da discorsi di poppate, ragadi, amore incondizionato, lacrime facili etc...
una tappa della maternità è la scrematura. scrematura degli interessi da coltivare (io suonavo il piano, studiavo il russo, divoravo i libri, correvo), delle cose da fare e da comprare, delle amicizie. non è vero che ci si ritrova a frequentare solo coppie con figli, è vero però che le persone che non vogliono bimbi tra i piedi, quelle che si ostinano a volerti vedere come la cara vecchia volpona delle antiche scorribande, quelle che i bimbi li vorrebbero e invidiandoti il tuo preferiscono depennarti dalla rubrica per non fare i conti ogni volta col loro vuoto, quelle troppo prese da se stesse per includere la new entry nei programmi tra amiche, tutte queste persone per forza spariscono, e molto spesso sei proprio tu ad allontanarle, perchè hai bisogno di serenità, di sguardi benevoli, di sentirti accettata se arrivi agli appuntamenti senza tacchi e col bebè nel marsupio.
niente di grave.
io dico sempre che se il bagaglio si alleggerisce è perchè si è imparato a far bene la valigia. e la mia valigia è perfetta, ora.

...

giorni fa camminavo di fretta per l'aeroporto di fiumicino con il pupolone nel marsupio, appena scesa dall'aereo e vestita con jeans e una camicetta a scacchi. i capelli legati, le scarpe basse, i braccialetti tintinnanti e il ciuccio del piccolo penzoloni, dimostravo meno della mia età. intorno a me un gran brulicare di uomini in giacca e cravatta con orologi da tenere d'occhio, ventriquattrore e parlate milanesi e torinesi e romane ma pulite, e di donne in tailleur coi tacchi seri e il rossetto.
ho provato una fitta di nostalgia al ricordo di com'ero fino a poco, pochissimo tempo fa: anch'io sgambettavo per aeroporti vestita da conferenza, tra colleghi piacioni ed eleganti; camminavo a passo spedito per i lunghissimi corridoi dei tribunali; stringevo mani levigate di professionisti più o meno stimati e parlavo con loro una lingua che ho dimenticato, pare.

eppure, eppure, ho pensato, tra tutte quelle gambe veloci le mie erano le più leggere.
tra tutte quelle belle facce la mia era la più luminosa.
di tutti i bagagli a mano che venivano trasportati, il mio era, in assoluto, il più prezioso.