mercoledì 25 agosto 2010

Coru meu, fonte 'ia gradessida...

In sos muntonarzos sos disamparados
chirchende ricattu, chirchende
in mezu a sa zente in mesu
a s'istrada dimandende
sa vida s'ischidat pranghende
bois fizus e' niunu
in sos annos irmenticados
tue n'dhas sole chimbantunu
ma parent chent'annos...

Coru meu fonte' ia gradessida
gai purudeu potho ber' sa vida...


Non ricordo che anno fosse, ma i Tazenda cantavano, con un Pierangelo Bertoli che non ho mai più dimenticato, una canzone che da quel momento mi ha sempre risuonato in testa, ogni volta che sono tornata a casa, ogni volta che me ne sono allontanata, ogni volta che mi sono sentita sola. una canzone che a sanremo ha straperso, e che parla di una sera di luna in un paesaggio sardo dimenticato dal mondo, con i "disamparados", i bimbi poveri per strada, con volti di pietra e strade di fango, in un cercarsi di mani, in un rincorrere un sogno mancato... alla voce profonda e poetica di Bertoli si contrapponeva quella pulita e così sarda di Andrea Parodi, purtroppo scomparso da poco, in un alternarsi di italiano e dialetto logudorese, ma dovrei dire lingua sarda, che a me ha fatto venire tali brividi nell'ascoltarle che ancora mi emoziono ogni volta.

riascolto questa canzone, la canto a mio figlio e qualche lacrima scende inevitabilmente, perchè nessuno come un sardo sa cosa significhi andare a vivere lontano, e poi tornare per qualche giorno, e sentir lottare dentro di sè il sollievo di essersi salvati da quelle "sponde sicure" e la nostalgia, tagliente, per quel mare per quelle facce per quella natura brulla e profumata.

mi manca quella spiaggia immensa sulla quale ho parcheggiato la macchina, ho fatto festa, ho baciato molti ragazzi e preso innumerevoli caffè e aperitivi, con davanti agli occhi sempre la stessa sella sulla montagna, confrontandomi con sempre le stesse facce con cui ci conoscevamo da una vita, sentendomi perfettamente a mio agio in un posto che mi apparteneva del tutto e che mi domando se mi appartiene ancora.
mi resta l'amore per la mia terra, se non altro. l'ho lasciata per amore e per disperazione, per una città che mi ha inghiottita in una spirale di velocità persone momenti e asfalto, regalandomi una me stessa nuova e più rapida e sicura, ma di certo meno poetica, meno riflessiva, meno paziente.

da quando me ne sono andata ho smesso di suonare il piano, di scrivere poesie, di sentirmi unica al mondo, ho però intrapreso tante altre cose che mi hanno fatta crescere, e non da ultimo ho coltivato il rapporto e la convivenza col mio compagno.
sono consapevole che solo l'andarmene mi abbia reso evidente cosa significasse vivere là, perchè per venticinque anni l'ho dato per scontato, negandogli qualsiasi valore che non fosse il mare, mentre era un continuo sentirmi accolta, una sensazione di appartenenza a quei luoghi selvaggi, ai paesini più miseri, all'ultimo angolo di pietra dell'ultima stradina sporca, alla lingua incomprensibile parlata tra le vie del castello di cagliari, a tutte e dico tutte le persone che incontravo, tutte accomunate dall'essere chiuse sull'isola, tutte diffidenti e insicure nei confronti dello straniero.

mi manca casa mia col suo odore di pietra o forse mi mancano di più mio padre e mia sorella, o forse ancora mi manca la nostra vita quando c'era ancora mia madre e nessuno mi avrebbe mai convinta che un giorno me ne sarei andata.
ancora non so se ho fatto bene. ma poi che vuol dire? è stata una scelta, fatta a venticinque anni, che in quel momento si imponeva con forza e che ho preso come prendo tutte le mie scelte, con un taglio netto ai dubbi, ma che a posteriori mi ha resa orgogliosa, perchè sarebbe stato più facile restare, e me ne rendo conto solo ora.

"spunta la luna dal monte". non c'è nessun posto al mondo in cui la luna si affacci dai monti come nella mia amata terra

5 commenti:

  1. parole bellissime. sei stata coraggiosa. spesso è più facile restare e poi pensare che altrove forse c'era una vita diversa ma per certi versi migliore che non hai provato neanche a cercare.

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  2. A volte penso di aver ereditato dai miei genitori la nostalgia dell'emigrato... quasi fosse una questione di DNA... Io non sono sarda... lo sono i miei genitori... ma quando mi chiedono di dove sono (visto il mio cognome che lascia poco spazio alla fantasia) rispondo orgogliosamente "Sardegna"... là ci sono le mie origini, capisco la lingua e le abitudini... le persone, anche sconosciute sono familiari... è il luogo che mentre saluto mi fa piangere lasciandomi un gran senso di vuoto! ... Questione di DNA... ne sono convinta!

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  3. @ simplymamma: sì sarebbe stato più facile restare. e poi lamentarmi delle mille vite che avrei potuto sperimentare "in continente", come fanno in tanti. sono contenta di aver "osato", anche se la nostalgia a volte è lancinante

    @ tatina: sì penso anch'io che sia un fatto di dna, i sardi sono molto attaccati alla loro terra e niente di strano che l'abbia ereditato anche tu dai tuoi. coltiva quest'attaccamento, è una ricchezza.

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  4. Complimenti per cio' che hai scritto.Penso che tanti sardi come noi provino le stesse emozioni
    che tu hai descritto.In fondo al nostro cuore c'e' sempre spazio per la nostra sardegna.
    ciao da un amico sardo come te!

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  5. Semplicemente stupenda ...devo x forza pubblicarla e troopo bella

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